MOLTEPLICE FIAMMATA

I SAGGI DI PHILIPPE SOLLERS IN DISCOURS PARFAIT

di Jacqueline Risset

 

Sollers Discours Parfait (photo Sophie Zhang) Discours Parfait

 

 

Non c'è ombra di dubbio che l'ultimo libro di Philippe Sollers, Discours Parfait (Gallimard, pp. 928, 7 ill., € 29,90), sia un volume di saggi. La parola discours indica una forma di prosa ragionata, in questo caso più logica che retorica, come annuncia il suo autore. Coerente e “perfetto” come si addice a un discorso logico, si rivela tuttavia alla lettura anche straordinariamente vario e fecondo. Alcuni capitoli hanno l'estensione di un libro - come il primo, «Fleurs» (i fiori cantati  dalla letteratura in tutte le epoche, dal giglio del Cantico dei Cantici al catleya di Proust al magnolia gigante di Genet al giacinto rosa di Beckett), e come l'ultimo, «La Trinité de Joyce» (il rapporto trasgressivo in Ulisse tra elementi cattolici e giudaici). Altri prendono lo spazio di una pagina o due - quello sulla Tempesta di Giorgione, o su «Mademoiselle Guimard», danzatrice, dipinta da Fragonard, o ancora su «La voix de Beauvoir». Saggi estremamente diversi tra di loro anche per natura; molti consistono in letture libere, intense, illuminati di testi cari all'autore (dagli Gnostici a Saint-Simon, a Nietzsche, a Bataille, a Céline, a Joyce); altri sono interpretazioni dei propri romanzi (L'Etoile des amants, La Fête à Venise, Une Vie divine), in forma di interviste; altri ancora illustrano con precisione le sue tecniche di scrittura (“Coup de vent”, “Technique”); altri infine analizzano fenomeni politici o sociali di oggi  (“Sur l'antisémitisme”, “Le nihilisme ordinaire”, “Le refoulement de l'Histoire”).

 

«Tutto ciò che è stato scritto, tutto ciò che è stato pensato, tutto ciò che ha potuto essere detto, è un solo tessuto - sostiene Sollers -. Tutto è già scritto o da riscrivere continuamente. Per dimostrare che la vita, ciò che chiamiamo la vita, di fatto, è in questo». In effetti, i romanzi, benché diversi dai testi critici per l'esistenza di personaggi e di una 'storia' (anche negli ultimi, Une vie divine e Les Voyageurs du Temps), osservano la stessa logica di composizione, mescolando registri, generi e linguaggi diversi. Si tratta di romanzi-saggio, ma con una specificità che esprime ciò che l'autore chiama «la funzione del romanzo oggi», ovvero «il risveglio della poesia» - poesia non come «poema», ma come percezione fulminea dell'istante, che sfugge a programmi e diktat.

 

Questo ponderoso assieme di saggi costituisce insieme ai due precedenti, La Guerre du Goût (1994) e Eloge de l'infini (2001), la «Enciclopedia personale» di Sollers; enuncia una poetica ben definita, che implica a un tempo l'inattuale che Nieztsche aveva forgiato per l'artista e il filosofo, e lo sguardo sull’attuale come «gesto da architetto», come valutazione del presente. Valutazione per lo più negativa, espressa dichiaratamente nei testi sull'attualità, e in filigrana anche in molti altri. Il «nichilismo ordinario» è «una piccola musica di malinconia e di depressione, il rovescio del rumore e del furore della storia contemporanea, un'aria di stanchezza, di fatalismo, di rassegnazione su uno sfondo di lamento e di accusa». Ma esiste anche un «nichilismo attivo» che instaura dovunque, e in ogni istante, «la sovranità della Tecnica» ... «è lo spirito che sempre dice sì a se stesso, è il crepitìo elettronico dello sgomento dell'assenza di sgomento». In queste condizioni, l'antisemitismo «che si sarebbe potuto credere finito dopo la Shoah», è invece presente ora «come cosa profonda, radicata nell'ignoranza ... ». Lo si combatterà solo se gli si opporrà «la conoscenza, la conoscenza molto vasta della storia e dell'arte ... ». Ma di fronte a esso «la laicita è sulla difensiva, mentre dovrebbe essere in una posizione offensiva e sostenere tutta la sua tradizione filosofica».

 

 Per tradizione filosofica da difendere Sollers intende quella del siècle des Lumières. La necessità di questa difesa si sente a partire dall' osservazione dei mondo contemporaneo: «Penso all'attualità massacrante e confusa, apro il Dictionnaire philosophique, vado dritto all'articolo Fanatisme, cerco di capire perché si tratti di una malattia endemica e epidemica che, colpendo le menti, risulta quasi incurabile. "Appena questo male progredisce, dice Voltaire, occorre fuggire, e attendere che l'aria sia purificata", e continua: "Cosa rispondere a un uomo che vi dice che preferisce ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini e che, di conseguenza, è certo di meritare il cielo sgozzandovi?"».

 

«Ciò che più sorprende in Voltaire e negli altri illuministi è la sensazione di presenza intensa e mobile che la loro voce emana illuminandovi», riprende Sollers, descrivendo ciò che avviene nel Settecento francese: «Degli scrittori, all'improvviso, si mettono a pensare. Non chiedono il permesso, sentono che la situazione è urgente, che una grande mutazione è in corso, che c'è bisogno di una rifondazione encidopedica, di interventi di tutti i generi... Sono tutti immensi lettori, tanto più che temono soprattutto la scomparsa dell'arte di leggere, il colpo del libro unico (Bibbia, Corano) , e forse anche l'estinzione della lettura stessa, cioè a dire la fine dello spirito critico e della libertà di pensiero». «Ci siamo quasi» - aggiunge Sollers. E da questa riflessione proviene il capitolo «Rallumons les Lumières!». «I francesi stanno male perché non amano i loro Lumi ... Occorre dunque ascoltare Nietzsche: "Mai sulla terra si era conosciuta allegria più grande, entusiasmo più strepitoso... Con una magnificenza fino ad allora sconosciuta, l'ideale antico si presentò in carne ed ossa allo sguardo dell'umanità". E ancora Nietzsche sul Sesso dei Lumi: "Tutta l'alta civiltà e la grande cultura letteraria della Francia classica si sono sviluppate a partire da interessi sessuali. Si può cercare dovunque in esse la galanteria, i sensi, la lotta sessuale, “la donna”, non li si cercherà invano"». Vi era allora in Francia, ricorda Sollers, «una filosofia specializzata nell'educazione e nella libertà delle donne. Da cui la sua cattiva reputazione. Da cui l'oblio e la censura che la minacciano. Da cui, anche, la sua abbagliante freschezza».

 

L'altro versante, quello dell'inattualità, emerge a questo punto nel-Discours Parfait. Paradossalmente l'inattualità non impedisce che la letteratura possa definirsi «nerbo della guerra», all'interno di guerre dei tutto attuali. «Lottiamo contro un avversario, il Ciclope, la camera di sorveglianza o la camera pornografica, che vuole evacuare, numerizzare o codificare i corpi. L'estirpazione della poesia, cioè a dire della libertà e dell'amore, dell'erotismo, che è il contrario della mercifiazione dei corpi alla quale assistiamo, è prevista dal programma». Quelle che la letteratura mette in gioco sono «categorie fondamentali dell'esistenza, proposte essenziali per la nostra stessa vita, qui e ora, ogni giorno». Si tratta in effetti di forze vitali. «Quando rileggo Rimbaud, scrive Sollers, lo leggo come per la prima volta, cosa che è propria della grande poesia. Mi succede anche con Dante e con Omero. Ogni volta è la stessa sorpresa, lo stesso stupore di trovarsi di fronte a qualcosa che, qualunque sia l'epoca, parla alla parte più viva di noi stessi».

 

 In questa prospettiva affiora l'esperienza di «Tel Quel», di cui Sollers è stato il fondatore. Esperienza di un'avventura collettiva che implicava rotture, conflitti. «Eravamo su un battello in un mare in tempesta, e molti caddero in acqua Era interessante, perché l'obiettivo era quello di riclassificare tutta la biblioteca e, soprattutto, di mostrare che i margini erano il centro: Artaud, Bataille, Ponge... ». Attraverso la letteratura, si trattava di una reinvenzione della libertà, di un'esperienza dei limiti che avrebbe scagliato fermenti nella società. Il maggio '68 deve essere visto in questa stessa luce, «un grande terremoto suscitato da gente determinata e colta, di vaste letture, cosa purtroppo scomparsa». Nel mondo attuale, ormai planetario, tutto è sociale, votato alla conformità del colletivo. Si consta tono l’indebolimento radicale della facoltà di pensare e insieme ciò che La Boétie chiamava la servitude volontarie. “Ma l’arte è l’individuazione più radicale”.

 

Le pagine più avvincenti del libro sono quelle che definiscono direttamente la poetica dell’autore e la sua visione dell’atto creativo, “fiammata molteplice dell’io”. In “Technique” si legge: “La cosa più importante è la concentrazione mentale permanente, la ruminazione interna, l’attenzione al modo in cui il linguaggio si formula interiormente”. E ancora: “ Tutti i miei libri, compresi i saggi, partono sempre dalla produzione violenta di emozioni magnetiche, nelle quali le cose che stanno per succedere sono in qualche modo come la limatura che viene a mostrare da dove qualcosa come un’effrazione è passato. È questo è il tema dominante.” Quanto all’autobiografia è necessario “sormontare continuamente la falsa autobiografia indotta dall’esterno. Occorre rivendicare con fermezza la propia autobiografia, evitando sia il rifugio nell’astrazione e nelle generalità, sia, al contrario, un atteggiamento depressivo rispetto alla biografia… gli scritti maggiormente in acccordo con un’autobiografia libera sono i più convincenti”.

 

 

In questo vasto insieme di saggi un solo passo è direttamente autobiografico: riguarda l’infanzia, Montaigne, e la vocazione: “Ho dodici anni, a Bordeaux, e gli allievi dei licei Montesquieu e Montaigne vanno a visitare il castello di La Brède e la torre dell’autore degli Essais. E lì, resto abbagliato: chi è quel pazzo che ha moltiplicato sulle travi della sua libreria sentenze dipinte in latino e in greco? Si decifrano messaggi criptati, come venuti da un altro pianeta: “Giudicando l’uno dall’altro”. E poi: “Nesssuna preponderanza”. E poi: “Cielo, mare e tutte le cose: un nulla”. E poi: “Dovunque il vento mi porta, mi fermo un po”. E poi: “Quanto vuoto nel mondo”. Quel tipo è formidabile: non solo leggerò il suo libro, ma, è deciso, farò come lui, della magia attraverso i muri e sulla carta.

 

Sollers, diventato scrittore a partire dalle sentenze della torre di Montaigne, ha forse estratto da questa esperienza infantile la sua arte delle citazioni. Un’arte molto antica, già presente nel Talmud. Per Walter Benjamin erano i briganti che sorgono armati e spogliano il viaggiatore delle sue convinzioni. Per Céline boe di salvataggio, come le massime dei moralisti del Seicento, “riassunti di civiltà, frasi brevi, soffi di stelle”. Guy Debord, che attraversa sotterraneamente questo libro, diceva che “le epoche oscurantiste hanno bisogno di citazioni”.

 

Quelle di Sollers, per come sono tagliate e usate, portano il brano citato a un maggior grado di splendore. Chirurgia che necessita di un’armata sensibilità musicale. Lo testimonia anche, al centro del libro, il vibrante omaggio, insolitamente personale, a Cecilia Bartoli, che si chiude così: “Quando scrivevo alcuni dei miei romanzi, a Venezia, a volte pensavo che tutto ciò che evocavo, speravo, non si sarebbe mai più prodotto nella realtà futura. Cecilia doveva avere allora otto o dieci anni. È qui, ora, e incarna le passioni per le quali darei la mia vita”.

Philippe Sollers Cecilia Bartoli

avec Cecilia Bartoli

Jacqueline Risset

Il Manifesto, Alias n° 9 - 27 febbraio 2010

 

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